Si è svolta il 22 maggio l’audizione dell’ANCE presso la Commissione Politiche dell’Unione europea della Camera nell’ambito dell’indagine conoscitiva sull’efficacia dei processi d’attuazione delle politiche dell’Unione Europea e di utilizzo dei fondi strutturali e d’investimento europei per il Sistema-Paese.

Il Vicedirettore generale, Ing. Romain Bocognani, ha ricordato, in premessa, che i Fondi strutturali e di investimento UE rappresentano una componente fondamentale della politica di investimento e di sviluppo del nostro Paese, che copre circa il 30% dei fondi destinati annualmente alle opere pubbliche.

Ha evidenziato, altresì, che il tema delle politiche di coesione, soprattutto negli ultimi anni, è stato completamente soppiantato dal dibattito intorno al PNRR. Eppure, i due programmi non sono così distanti in termini di risorse mobilitate, come sussidi, e di finalità perseguite.

Il Nono rapporto sulla coesione, recentemente pubblicato dalla Commissione Europea, evidenzia i progressi della politica di coesione dell’UE nel ridurre le disparità economiche, sociali e territoriali all’interno dell’Unione. Secondo il rapporto, lo storico allargamento dell’UE nel 2004 è un chiaro esempio dell’impatto positivo della politica di coesione. Vent’anni dopo, il PIL medio pro capite degli Stati membri che hanno aderito all’UE è passato da circa il 52% della media dell’UE nel 2004 a quasi l’80% nel 2023. Allo stesso tempo, il tasso di disoccupazione di questi Stati membri è sceso dal 13% al 4%.

Questo successo però non ha riguardato alcune aree europee, tra le quali l’Italia Meridionale. Dal 2001, la crescita del PIL pro-capite è stata negativa in diverse regioni, in particolare in Grecia e in Italia, anche se di recente ha registrato una ripresa.

Le difficoltà dell’Italia sono evidenti dai dati sull’avanzamento della spesa dei fondi strutturali, che fotografano una situazione caratterizzata da ritardi e criticità.

Secondo gli ultimi dati diffusi dalla Commissione Europea, riferiti alla programmazione 2014-2020, benché l’Italia sia al secondo posto in temini di risorse assegnate a valere sui Fondi Strutturali, si trova al 25° posto su 28 Paesi per livello di spesa delle risorse.

In particolare, la programmazione 2014-2020, chiusa il 31 dicembre 2023, vede il livello della spesa attestarsi al 74% dei fondi (FESR+FSE). Ciò significa che 16,6 miliardi di euro sono a rischio definanziamento.

Gli stessi dati, riferiti alla nuova programmazione 2021-2027, mostrano preoccupanti lentezze nell’attivazione dei programmi operativi nazionali e regionali. A fronte di una dotazione complessiva di circa 75 miliardi di euro, dopo circa tre anni dall’inizio del ciclo di programmazione, risultano spesi solo 544 milioni, pari allo 0,73% e impegnati 4,4 miliardi di euro, ovvero il 5,8% dei fondi disponibili.

Diversi sono i fattori che spiegano i modesti risultati finora conseguiti dalla politica di coesione in Italia, e ancor più nel Mezzogiorno.

In primo luogo, c’è una limitata qualità istituzionale che si riflette in una programmazione frammentata negli obiettivi e nei finanziamenti e in un processo realizzativo lungo e articolato

Un apparato istituzionale inadeguato e debole, unito a un approccio frammentato, privo di un adeguato coordinamento e di una visione globale, ha reso difficile tradurre i finanziamenti in progetti concreti.

Secondo l’ultimo aggiornamento dell’Indice europeo della qualità di governo (EQI, 2024), le amministrazioni italiane, sebbene in miglioramento negli ultimi anni, sono per la quasi totalità sotto la media UE, in molti casi con risultati simili a quelli dell’Est Europa. In particolare, il Sud è agli ultimi posti in Europa.

In Italia, inoltre, il dibattito sulle politiche di coesione si è sempre concentrato sull’effettiva capacità di spesa dei fondi strutturali, più che sul loro effetto sull’economia dei territori.

Alcuni studi hanno evidenziato come l’impatto dei fondi strutturali sul PIL delle regioni meridionali sia risultato transitorio, oltre ad essere meno positivo, rispetto agli altri paesi europei.

L’attenzione esclusiva alla spesa delle risorse ha fatto sì che, anche quando i finanziamenti europei hanno prodotto effetti positivi sulle economie locali, i risultati si siano concentrati negli anni dell’intervento e non abbiano innescato un processo di crescita duraturo.

Sembra quasi che l’obiettivo principale delle regioni sia la permanenza nei programmi di convergenza dell’Unione, quando invece il vero successo sarebbe l’uscita da tali programmi.

A ciò si è aggiunto il cosiddetto effetto di sostituzione, ovvero la pratica, molto diffusa, di utilizzare le risorse per il riequilibrio territoriale in maniera sostitutiva rispetto alle risorse ordinarie, annullando il requisito di addizionalità dei fondi straordinari.

A queste “croniche” difficoltà nella gestione dei fondi strutturali si è aggiunto, a partire dal 2021, il PNRR che ha determinato un effetto spiazzamento, concentrando sulle amministrazioni pubbliche una mole di risorse per investimenti da realizzare in tempi molto stringenti rispetto agli standard nazionali, che ha inciso sia sulla chiusura della programmazione 2014-2020, sia sull’avvio di quella 2021-2027.

Il PNRR, però, ha dimostrato che gli investimenti in Italia si possono fare in modo diverso.

In particolare, il processo di realizzazione delle opere pubbliche in Italia, nelle diverse fasi di programmazione, affidamento e realizzazione degli investimenti, sta subendo un notevole cambiamento, grazie al Piano europeo.

Il PNRR ha infatti accelerato i processi decisionali, consentendo una pianificazione più rapida delle iniziative pubbliche. Si è assistito, infatti, ad una forte accelerazione nella fase di programmazione e ripartizione dei fondi previsti. Dopo circa un anno e mezzo dall’approvazione del Piano risultava infatti «territorializzato» il 92% dei fondi che riguardano il settore edile degli investimenti.

Anche la fase di affidamento e cantierizzazione delle opere ha registrato una riduzione significativa sostenuta dalle normative straordinarie, motivate dal contesto pandemico del Covid-19 e dalle procedure acceleratorie previste per gli investimenti del PNRR.

Uno studio Ance, compiuto a fine 2023, su un campione di circa 8.000 cantieri aperti, sia appartenenti al PNRR che non collegati ad esso, ha rilevato una riduzione del 30% dei tempi tra il bando e l’apertura del cantiere tra il 2022 e il 2021.

Le procedure di accelerazione delle fasi di programmazione e approvazione dei progetti, adottate per la realizzazione del PNRR, potranno essere estese alla politica di coesione con un miglioramento dell’efficienza generale.

Ad esempio, a giudizio dell’Ance, possono essere mutuate dal PNRR i sistemi di monitoraggio che prevedono più scadenze temporali stringenti, di verifica dei target e delle milestone, in modo da evitare, come avvenuto in passato, la corsa frenetica alla spesa in concomitanza con la chiusura della programmazione, finalizzata esclusivamente ad evitare la perdita dei fondi europei e non a “spendere bere”.

Il Governo è già intervenuto in tal senso con l’obiettivo di migliorare il coordinamento e la complementarietà, evitando la sovrapposizione, tra PNRR e politica di coesione e accelerare la realizzazione degli investimenti.

Inizialmente, con il Decreto-legge 13/2023 è stata ridisegnata la governance del PNRR e della politica di coesione, individuando una Autorità politica unica competente su entrambi gli strumenti di intervento. In particolare, con riferimento alla politica di coesione, sono stati rafforzati i compiti del Dipartimento per le politiche di coesione della Presidenza del Consiglio dei ministri, che è la struttura che assicura l’indirizzo strategico, il coordinamento e il presidio sulla programmazione e attuazione della politica di coesione, in coordinamento con il PNRR.

Successivamente è stato adottato il decreto-legge 124/2023, il cosiddetto Decreto Mezzogiorno, con il quale sono state previste ulteriori norme per un utilizzo efficace delle risorse nazionali ed europee in materia di coesione. In particolare, sono stati definiti i criteri e le modalità di impiego e di gestione delle risorse del FSC per la programmazione 2021-2027, introducendo lo strumento dell’Accordo per la coesione.

Da ultimo con il decreto-legge 60/2024, cosiddetto Decreto Coesione, è stato ulteriormente rafforzato il coordinamento tra i Programmi nazionali e regionali della politica di coesione 2021-2027 e la programmazione del Fondo Sviluppo e Coesione e del PNRR, nonché la coerenza con gli ulteriori documenti di orientamento previsti, quali il Piano strategico della Zes Unica e il Piano strategico nazionale delle aree interne.

I programmi di investimento della programmazione 2021-2027 sono cospicui (42 miliardi di euro di risorse europee e 32 miliardi di euro di risorse nazionali) e la loro corretta programmazione consentirà di definire un quadro pluriennale organico, fino alla fin del 2029, che potrà proseguire il processo di ammodernamento del Paese che il PNRR avrà avviato.

Il Vicedirettore ha quindi individuato alcuni elementi prioritari per garantire un’efficace politica di coesione:

  • Occorre porre adeguata attenzione alla questione dei pagamenti. La definizione dei cronoprogrammi degli investimenti e il loro costante monitoraggio da soli non bastano se non verranno garantite le risorse di cassa necessarie a pagare le imprese esecutrici dei lavori, che devono poter contare su flussi di cassa regolari per portare a termine i lavori e pianificare la propria attività.  Al riguardo, si evidenzia che, negli ultimi mesi, sono in costante aumento le imprese di costruzioni che denunciano aumenti nei tempi di pagamento per i lavori pubblici regolarmente eseguiti, da parte delle pubbliche amministrazioni. Al fine di circoscrivere il perimetro esatto del fenomeno, l’Ance ha effettuato, a marzo 2024, un’indagine presso le proprie imprese associate dalla quale emerge che il 60% delle imprese riscontra ritardi nei pagamenti dalla Pubblica AmministrazioneDall’indagine è sta tornando quella «cultura» dei ritardi di pagamento che in passato ha gravemente penalizzato le imprese esecutrici dei lavori. Le pubbliche amministrazioni tornano a mettere in atto prassi gravemente inique nei confronti delle imprese al fine di eludere l’emersione del problema dei ritardati pagamenti, come la richiesta di ritardare l’invio delle fatture, di accettate tempi di pagamento superiori ai 30 giorni o di rinunciare agli interessi di mora. Nella politica di coesione, così come per il PNRR, rispettare i tempi di pagamento è ancora più rilevante se si vogliono evitare blocchi nelle lavorazioni, difficilmente recuperabili entro le scadenze previste.

 

  • Un altro aspetto che l’Associazione vuole sottolineare riguarda la riforma del Patto di stabilità. Occorre evitare che il recepimento delle nuove regole, attraverso la previsione di eventuali tetti alla spesa, possa mortificare l’attività di investimento degli enti territoriali.

Non si dimentichi quanto avvenuto in passato, quando l’adozione di politiche economiche improntate al rigore dei conti pubblici ha scaricato sulla spesa per investimenti tutto il peso delle manovre finanziarie per l’equilibrio del bilancio dello Stato.

Continue riduzioni degli stanziamenti per la realizzazione di opere pubbliche, sia nuove opere sia la manutenzione di quelle esistenti, unite alle regole contabili del Patto di Stabilità, per anni hanno bloccato l’attività di investimento delle amministrazioni e hanno messo in grave difficoltà le imprese di costruzioni, strozzate dalla pratica dei ritardati pagamenti adottata per la tenuta dei conti pubblici, dimostrano un vero e proprio disimpegno, da parte dello Stato, nei confronti degli investimenti in conto capitale con conseguenze che il Paese ancora sconta.

Peraltro, la scelta di introdurre eventuali tagli alla spesa, si inserirebbe in un contesto molto diverso dal passato, che vede gli enti territoriali già contribuire ampiamente alla finanza pubblica con cospicui avanzi di amministrazione. Nel 2022, secondo alcuni dati diffusi dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio, il saldo di bilancio degli enti territoriali ha registrato un avanzo pari a 21,6 miliardi di euro, di cui 11,4 miliardi riferiti ai comuni, 8,6 miliardi alle Regioni e 1,6 miliardi a province e città metropolitane.

 

  • Di fronte a un bilancio europeo sicuramente insufficiente ad affrontare le sfide attuali, come la difesa, le immigrazioni, le transizioni ecologiche e digitali, per garantire la tenuta del mercato interno, occorre trovare ulteriori canali di finanziamento. Pertanto, appare opportuno valutare l’opportunità di stabilizzare lo strumento temporaneo rappresentato dal Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza, fissando una percentuale di debito comune europeo da destinare allo sviluppo di futuri programmi di investimento europei strategici, nei quali l’investimento sia considerato come una ricchezza per tutta l’Unione e non come una “peso intollerabile”.
  • Infine, l’Ance ribadisce l’importanza del coinvolgimento del partenariato economico sociale nell’ambito dei Comitati di Sorveglianza, che dovrebbe essere più attivo e collaborativo. L’approccio finora adottato appare eccessivamente formale e poco finalizzato ad avviare un confronto concreto e fattivo su come migliorare l’attuazione delle politiche di coesione.

In allegato il Documento con le valutazioni ANCE consegnato agli atti della Commissione per la pubblicazione sul sito web.

 

Allegati
Memoria_ANCE__efficacia_attuazione_politiche_UE
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