E dopo la trentaduesima “picconata” del governo Meloni, dell’impianto originario del Superbonus, costato alle casse dello Stato oltre 200 miliardi resta ben poco. L’ultimo colpo, assestato con il maxi emendamento del governo al decreto sul maxi-incentivo, estende il suo raggio d’azione anche agli altri bonus edilizi. Ma la norma che continua a far litigare la maggioranza è quella della retroattività del cosiddetto “spalmadetrazioni” da 4 a 10 anni. Il vicepremier, Tajani, è fortemente contrario e non esclude che già oggi possano essere presentati subemendamenti per correggere il testo: “È contro la nostra cultura giuridica”. Di tutt’altro avviso il ministro Giorgetti che difende a spada tratta la nuova formulazione. E, questa volta, la stessa premier, Giorgia Meloni, potrebbe non cedere alle pressioni degli azzurri e rimandare tutto al voto in Aula, sia pure senza ricorrere alla fiducia. Oggi dovrebbe esserci in Senato un vertice dei partiti di maggioranza. Ma che cosa resta del vecchio Superbonus? E quali saranno le conseguenze del provvedimento per le casse di cittadini, imprese e banche?

LAVORI PIÙ SALATI

L’allungamento delle detrazioni fiscali previste per i lavori del Superbonus da 4 a 10 anni penalizza soprattutto i redditi più alti, che avendo maggiore capienza fiscale, potevano scaricare importi maggiori dalle tasse in un periodo più breve. Le brutte notizie per i condomini è che lo spalmadetrazioni interviene anche sui lavori cominciati a gennaio di quest’anno. L’effetto potrebbe essere quello di una rinegoziazione dei contratti con un incremento delle spese per i lavori. Molto dipenderà, ovviamente, dalla clausole inserite nei capitolati di appalto, ma è molto alto il rischio di contenziosi legali. L’altra sorpresa negativa è che dal 2028 al 2033 per gli interventi relativi al bonus ordinario sulle ristrutturazioni e all’ecobonus, la detrazione scenderà dal 50 al 30%. Mentre, dall’anno prossimo, si fermerà al 36%. Salve, infine, le deroghe previste per le aree terremotate, comprese quelle del Centro-Italia.

ALLARME SVALUTAZIONI

A partire dal 2025, le banche che hanno acquistato crediti di imposta pagando meno del 75% del loro valore, dovranno rateizzarle in sei e non più quattro anni. Inoltre, non potranno più utilizzare i crediti per pagare i contributi Inps. Il vero problema riguarda, però, i crediti già nel portafoglio degli istituti. La svalutazione, nel mercato bancario, potrebbe arrivare al 15%, pari alla differenza tra il prezzo d’acquisto di un credito a scadenza in quattro/cinque anni rispetto a uno a dieci anni. Sul mercato secondario, poi, la svalutazione procederebbe a cascata. L’operazione potrebbe tradursi in una nuova tassa sui bilanci delle banche.

IMPRESE, CONTI A RISCHIO

L’allungamento dei termini non riguarda i fornitori che hanno applicato lo sconto in fattura e i cessionari che hanno acquistato i crediti che potranno continuare a effettuare le compensazioni in quattro o cinque anni. Ma le imprese dovranno mettere in conto una svalutazione dei crediti che sono maturati nei primi 5 mesi di quest’anno e quindi, potrebbero rivalersi sui proprietari o, nelle situazioni più gravi, bloccare i lavori. Inoltre, non sarà più possibile cedere le rate residue delle detrazioni. Una volta avviata la detrazione questa si potrà utilizzare solo in dieci rate senza la possibilità di recuperare in anticipo quelle successive alla prima tramite cessione del credito.

 

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